"BADIAVECCHIA", piccolo borgo Cistercense, a tre chilometri da Novara di Sicilia nel cuore delle valli solitarie, fra i monti Peloritani e Nebrodi.
Le prime povere case, sorsero forse dopo la venuta del monaco francese, Ugo.
Ogni pietra, ogni rupe parla di mistero, le tracce di celle, d`altari infranti, di cori dispersi, di archi distrutti, di quadrate pietre che furono il sostegno del vetusto cenobio, di porte e finestre ogivali, mentre più in giù, con le sue case nuove, dai tetti tutti rossi, Badiavecchia, nel silenzio, ascolta, ancora, l`eco delle campane, che davano gli annunci per la quotidiana preghiera e rivede sfilare, lungo i sentieri erbosi, i frati con il bianco saio, dopo la fatica del giorno e poi il ritorno dei contadini, tra ragli, ruggiti e belati, seguiti dalle laboriose donne sotto il peso di fascine di legna, verso il casolare... in un malinconico viaggio nel tempo.
Su un riparo di selvaggia bellezza, ancora oggi incontaminato dal caos cittadino, sorge la Chiesa di Santa Maria Annunziata e i resti dell’antico Monastero Cistercense

Come il grido d'una rondine ferita
Il suo acerbo e stanco addio
Singhiozza,
nell'eco di una valle,
che ha sottratto al monte
le pietre secolari di chiostri venerati
e marmi candidi e spenti tabernacoli
e distrutti altari,
scolpiti di pietre e pastorali.
Con l'ampio saio bianco,
venne il costruttore,
preci insegnando,
dopo il paventato mille,
in quella valle,
che piange la rovina,
che geme sugli avanzi
del Siculo Cistercio.
In Silenzio, i tempi gemono
E la memoria tace
E del frate di Cistercio
Pallida l'eco d'una lenta salmodia
Per questa valle sale
Che, profondo, dorme il sonno
D'una gloria lusinghiera
E quello d’una fede che non si spegne mai!
                                                       Ugo Di Natale

Una storia fieri di custodirla!
Un'avventura felice
di annunciarla!
Un cammino con Sant'Ugo Abate!!!
Grandi ricordi di una storia
che sembra aver smarrito
un misterioso passato,
non ci sfugga però il dono che Dio
ci ha riservato per il presente:
fra Ugo è la testimonianza viva
di un amore che,
come fiume che scorre
dall'alto dall'infinita sorgente,
corre nel tempo
di questa terra benedetta,
per dissertare le fessure aride
della nostra umanità fragile.
In questo squarcio di natura,
avvolto dal Divino mistero,
il ritorno impellente di un invito…
rivolto a noi contemporanei del caos,
che tra i segni di un passato
e le gesta di un presente,
ci chiama non certo a costruire
un'abbazia di pietre
ma piuttosto a diventare
tempio dello spirito
per un mondo che ci chiede di cambiare.

Storia

Ciò che rimane in quell`arcana solitudine conserva ancora il fascino di quella semplice e maestosa bellezza, punto di riferimento mistico nonostante la presunzione dell' "homo sapiens", una luce viva per il credente che vuole e può conservare la semplicità e l`esistenza al di sopra della realtà sensibile, una mano tesa nella buia notte dell`umana ricerca del trascendente.
La vecchia Abbazia cistercense di S. Basilio affonda le sue radici intorno all`anno 1140 dopo la pace fra Innocenzo II° Papa, e Ruggero II° re di Sicilia in presenza di S. Bernardo avvenuta a Salerno nel 1139. Difatti in questo periodo Ruggero il normanno chiedeva a S. Bernardo di fondarvi un Monastero. Bernardo non poteva venire di persona a causa delle sue precarie condizioni di salute, inviava P. Ugo, francese di nascita, che con 12 monaci cistercensi approdava a Palermo, per poi portarsi nell`ex feudo di S. Basilio per edificare un Monastero (il primo in Sicilia e forse in Italia).  
La consacrazione del Monastero Cistercense avvenne il 14 marzo 1117. Oggi del Monastero Cistercense, restano visibili poche tracce, esso fu distrutto nel 1626 da un'alluvione e i monaci furono costretti ad abbandonare il luogo costruendo una nuova Abbazia a Novara di Sicilia.
La distruzione di questo monastero giunse improvvisa e violenta in una gelida notte d`inverno del 1626, quando un cataclisma distrusse anche gran parte della geografia dell`intera valle. Alcuni di questi monaci sopravvissuti a questo enorme disastro, rimasti senza un tetto, abbandonarono il sito e andarono a costruire un cenobio fuori le mura di Novara di Sicilia. Da allora il monastero decadde, perdendo il ruolo guida per l`evangelizzazione dell`intera zona, accompagnato da una progressiva riduzione dei monaci. Ma ancor prima di questo evento, l`ombra della chiusura totale di questo monastero tentava di concretizzarsi. Intorno al 1400, il monastero passò sotto l`amministrazione dei Padri Commendatari ed i beni ereditali diventarono facile fonte di guadagno per questa classe di privilegiati; la cupidigia divampò sempre più fino alla chiusura forzata di questo monumento di fede cristiana avvenuta nel 1731. I pochi monaci rimasti si trasferirono nella Rocca Amatore in Tremestieri, alle porte di Messina, così il monastero, rimasto incustodito, venne ridotto ad una cava di pietre. La folle impresa degli abitanti del luogo, dei viandanti e la negligenza sostenuta dall`ignoranza o dall`insensibilità per la storia e l`arte dei sacerdoti susseguitisi nel tempo, contribuirono a distruggere radicalmente tutto quello che restava del monastero.
L'Abate Ugo fu eletto nell'anno 1666 Protettore di Novara di Sicilia, e fu eletto nell`ottobre 2007 nel borgo di Badiavecchia Protettore delle nocciole.
Oggi la chiesetta mostra due volti: quello originario, nello stile sobrio dell'ordine di Citeaux, esibisce finestre strette strette ad arco, quasi feritorie, ed archi gotici a sesto acuto alla porta minore e a quelle chiuse in miniatura; quello del rifacimento, nel secolo scorso, ha strutture quasi quadrangolari.
All'interno  sono visibili grandi archi scarni e, accanto all'attuale altare, una porta in pietra arenaria, alta, con la base prominente a scivolo, segno della presenza di un antico torrione arabo-normanno.
Ove è l'ingresso principale era l'antica abside, oggi sagrato tondeggiante, in pietra arenaria. (I Monaci ponevono sempre l'altare verso l'Oriente dove sorge il sole segno di Cristo che vince le tenebre del Peccato con il Sacrificio Eucaristico) La Chiesa è stata modificata nel     come riferisce una lapide in Chiesa:
Questo borgo storico, un tempo appartenente al Feudo di S. Basilio, fino agli anni 60 è stato l'unico centro di grande spiritualità per tutto il territorio, dagli anni sessanta con la nascita di un Chiesa, nella parte alta più abitata, è avvenuta una spaccatura culturale di questa vallata, poiché fino ad allora tutta questa zona la si chiamava S. Basilio, ne è  testimone l'antica Immagine di S. Basilio che si venera a Badiavecchia, oggi  anche se geograficamente non è mutato nulla, culturalmente S. Basilio oggi si intende solo la parte alta dell'allora Feudo e comprende le contrade di Case Cacciulla, Case Morte, Ruggio e altre zone vicine; Chiappera e Piano Vigna, Vallebona, ormai disabitata, vengono ritenute parte del Borgo di Badiavecchia .
Oggi in questo Borgo i pellegrini ritrovano la Pace dell'anima, accarezzata dal mistico silenzio, padrone assoluto di tutte le località lontane, che permette di lasciare alle spalle l'ansiosa e frenetica vita di oggi.
In questi ultimi anni un  importante impegno ha coinvolto la Comunità Parrocchiale che vede sorgere tante iniziative che si sono realizzate nonostante l'indifferenza ed il silenzio di tutte le istituzioni sociali, ma sostenute da una grande provvidenza, come la realizzazione dell'Oasi Perfetta Letizia, inaugurata il 17 novembre 2005 giorno della festa di Sant'Ugo Abate, che ha ospitato due Frati Minori di San Francesco, Fra Arturo e Fra Domenico, dall'Ottobre del 2007 al Luglio del 2008, grande dono che ha inciso ancora maggiormente un valore altissimo di Fede in questo borgo. La Festa della Nocciola rimane la via per rivalutare un'attività che ha contraddistinto per secoli il lavoro di queste zone e che oggi vede purtroppo scomparire per la difficile mancanza di lavoro.
La Cappella del Santissimo, il restauro della Preziosa Immagine di S. Basilio, la Realizzazione dell`Immagine dell'Annunziata oggi posta dinanzi alla Vetrata dello Spirito Santo, accolta con gioia il 1 Dicembre 2007, sono tutti segni di un impegno e di un grande lavoro per  rivalutare questo Borgo. Rimane molto da realizzare come l'Eremo di S. Ugo, ma confidando in S. Ugo vogliamo proseguire la rinascita di Badiavecchia affinchè ritorni agli antichi splendori offuscati da una contemporaneità che ha molto distrutto.

Il Paese

Il Mulino più diffuso a Novara di Sicilia fino quasi ai nostri giorni è il mulino da farina a ruota orizzontale. Si tratta di una struttura molto semplice: una costruzione a due piani realizzata in pietrame - spesso a secco - e legno, in cui alloggiavano la ruota, nella camera delle acque, le macine ed il relativo equipaggiamento, nel vano soprastante.
La struttura semplice e l'uso di materiali di raccolta  disponibili nei paraggi rendevano quest'installazione perfetta per servire alle necessità  delle piccole comunità montane.
Edificare un mulino orizzontale richiedeva conoscenze tecniche alla portata di chiunque e non esigeva manodopera specializzata per gli ingranaggi. Inoltre, se la struttura fosse stata distrutta da una frana o da una piena, sarebbe stato facile riedificarla utilizzando gli stessi materiali.
Generalmente, l'unico vano accessibile dall'esterno era la camera delle macine, che ospitava un piccolo spazio per insaccare la farina e un  soppalco su cui si trovavano gli strumenti per la macinazione.  La camera delle acque era solitamente raggiungibile da una botola o da uno spazio tra il soppalco e il piano di calpestio, ma in valle abbiamo esempi in cui la fuga delle acque era abbastanza larga da far passare un uomo e consentiva, una volta messo "in secco" il mulino, di effettuare la manutenzione della ruota dall'esterno. Si tratta di un opificio poco produttivo, in cui non vi erano ingranaggi intermediari tra la ruota e le macine che moltiplicassero il moto per ogni giro; evidentemente, però, tanto bastava per le esigenze dell'area, dato che anche mulini evidentemente moderni come quelli di Giaglione, pur rappresentando un'evoluzione ed un ingrandimento del modello primigenio, continuano a fare uso del motore orizzontale.
Un tempo, a causa della sua semplicità, il mulino a ruota orizzontale era considerato il capostipite delle installazioni idrauliche, da cui si sarebbero evoluti fino a soppiantarlo i mulini a ruota verticale. Oggi, però, sappiamo che questa teoria è superata: il mulino a ruota verticale era sicuramente conosciuto già in età romana e i due tipi di motore sono coesistiti fino ai nostri giorni. La scelta dell'uno o dell'altro dipendeva dalle condizioni ambientali e dalle risorse della committenza.
I mulini a ruota orizzontale accolgono raramente l'abitazione del mugnaio, o spazi aggiuntivi, dato che, di solito, erano gestiti per brevi periodi da  personale addetto o dai membri delle famiglie che si avvicendavano secondo turni prestabiliti.
Dalla gora del mulino, protetta da chiuse, l'acqua era incanalata nel cannone o doccia che entrava nella camera delle acque e aveva il duplice scopo di dirigere esattamente il getto sulle pale della ruota e di aumentarne la pressione.  La ruota, ritrecine o rodet, poteva avere pale dritte, inclinate, o a cucchiaio, incastrate in un fuso ligneo su cui s'innestava un palo metallico che trasmetteva il moto alle macine.  La ruota poggiava su una bronzina (ossia un incavo, generalmente rivestito di metallo, per ridurre l'attrito) ricavata sull'estremità di una  leva, o  banchina, che era collegata ad un tirante, l'alzatoio, manovrabile dalla camera delle macine. Questa leva aveva lo  scopo di variare l'altezza rispetto al getto d'acqua e di regolare la distanza tra la macina mobile e quella fissa per determinare la finezza del macinato.  L'albero motore passava attraverso il foro della macina fissa, incastrata nel soppalco della camera delle macine, su cui girava la macina mobile, solidale all'albero motore grazie ad un anello metallico, detto nottola o navilla, che s'incastrava con due ali nell'occhio centrale. Questo sistema permetteva di metter in movimento la macina  senza otturare il foro da cui entrava la materia da macinare che scendeva dalla tramoggia.  La tramoggia era collocata sopra le macine, sorretta da una struttura di travicelli lignei. Era un contenitore a forma di tronco di piramide rovesciata, che si riempiva col materiale da macinare. All'apertura inferiore era incernierato un legno  concavo a forma di coppo capovolto, la séssola o dòcciola, che, messo in vibrazione dal contatto con la macina tramite un legnetto chiamato bàttola, faceva cadere il frumento nell'occhio centrale. L'inclinazione della sessola era regolata con una cordicella assicurata alla stessa struttura che sorreggeva la tramoggia. In quest'ultima si poteva collocare un  dischetto di legno collegato ad una campanella: il dischetto era trattenuto dalla materia da macinare e, quando questa terminava, faceva cadere la campanella sulla macina, avvisando il mugnaio con il suo tintinnio di fermare le mole perché non girassero a vuoto e non si danneggiassero.  Le macine erano di diametro variabile, per lo più tra il metro e venti e il metro e mezzo, ed erano realizzate in pietra renaria ed omogenea, perché non  perdessero pulviscolo che si  mischiasse con la farina. Erano spesso lavorate con  solchi a raggi, per favorire lo scorrimento del macinato.  
Il mugnaio doveva periodicamente smontare le mole e ribatterle col martello per ripristinare le asperità che potevano esserci spianate con l'usura e per ridefinire i raggi: questa pratica era detta "aguzzar le mole" o rabbigliatura.  
Sulla parete di fondo, si trovava un tronco d'albero a cui era assicurata una corda e che fungeva da argano per sollevare la macina mobile in caso di manutenzione.  Per evitare che la farina si disperdesse, intorno alle macine c'era un'armatura lignea con coperchio, il  palmento, dotata di un'unica apertura verso l'arca di legno, in cui erano appesi i sacchi ove far cadere il macinato.

Opere Realizzate

Il nostro Campanile piccolo e semplice è composto di tre Campane. Due grandi, nuove, realizzate da P. Antonio Sofia nel 1983 e una piccola, antica.
Nel Novembre del 2005 in occasione della Festa di S. Ugo ho avviato il progetto di computerizzare il sistema delle campane. Per far fronte alle spese è stato realizzato un salvadanaio per la raccolta portato avanti dalle offerte dei Defunti.  
L'impianto è stato realizzato nel Settembre 2006 dalla Ditta Squadrito inoltre è stata messa in funzione la piccola campana antica.
Il 1 Ottobre con grande Gioia con l'arrivo delle Reliquie di S. Ugo, giunte in Pellegrinaggio da Novara di Sicilia per l'inizio della Festa, è stato Benedetto l'impianto. Durante i giorni della Festa è stato anche aperto il salvadanaio.
In perenne ricordo, insieme a tutto il Popolo di Badiavecchia affido questa opera  al suo Protettore rendendo Grazie a Dio che è la Sorgente di ogni Dono.
Nel grande progetto che si sta portando avanti, nel rendere Badiavecchia centro di Spiritualità, nel settembre del 2006 insieme ai Cooperatori Anna Sofia e Jenny Giamboi abbiamo deciso di realizzare la Cappellina dell'Adorazione nella stanzetta accanto all'altare. Un tempo sicuramente è stata la Sacrestia, quando sono arrivato io nel settembre del 2004 era adibita a ripostiglio e subito l`ho trasformata in Museo nella Festa di S. Ugo del Novembre del 2004.
Con i lavori iniziati a Settembre sono stati eseguiti anche la ristrutturazione dell'intonaco della Chiesa, con la Collaborazione di Salvatore Puglisi, Santo Citraro e Vittorio Rao. E' stato realizzato  un nuovo impianto dei Microfoni. Con l'aiuto di Orietta Puglisi di S. Marco sono stati pitturati i lampadari. E' stato inoltre iniziato lo svuotamento dell'Ossario con la Collaborazione di due Rumeni, Livio e Basilio, mandati da Loredana Orlando, che lavorano presso la sua ditta. Nella Cappellina il lavoro è stato eseguito con la Collaborazione di Santo Citraro, Salvatore Puglisi, Vittorio Rao, e anche l'aiuto gratuito di Giuseppe Calabrese di S. Marco che ha dato un valido aiuto. Il Tabernacolo posto sul muro dell'Altare a destra entrando è stato posto nella Cappellina. Dopo la sistemazione del tabernacolo sono seguiti il rifacimento dei muri, l'impianto elettrico e la pitturazione con l'aiuto di Enza Buemi, che ha pensato anche alla pitturazione del tetto del Saloncino, della Sacrestia e della Cappella di S. Ugo. Mentre Anna Sofia ha pitturato la porta del Bagno. Le tende della Sacrestia e del Saloncino sono state realizzate  da Antonietta Paffumi di Novara con l'interessamento di Loredana Orlando che ha dato una mano a tutti i lavori insieme a Barbara Buemi.
Il 30 Settembre vigilia dell'inizio della Festa di S. Ugo dopo la Celebrazione del Cammino di Fede tenuto da P. Giovanni Saccà, è stata inaugurata e benedetta da Lui la Nuova Cappellina dell'Adorazione come centro di Spiritualità per quanti vorranno a Badiavecchia incontrare Gesù, e riscoprire la Sua Presenza in questa spiritualità di silenzio.
Non è stato solo questo il contributo e l'aiuto dato per la realizzazione di questa opera, nel silenzio tanti hanno contribuito, mettendo non solo il loro tempo ma anche le loro fatiche e i loro sacrifici, Dio che vede nel Segreto li ricompensi in questa vita e il centuplo nella vita eterna.     
In perenne ricordo, insieme a tutto il Popolo di Badiavecchia lo affido al suo Protettore rendendo Grazie a Dio che è la Sorgente di ogni Dono.

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