Giornata di Spiritualità al Santuario Madonna della Neve S. Lucia del Mela

Per guardare avanti e tracciare la strada dell’anno liturgico 2017 sul percorso delle Beatitudini

Una bella Giornata dove nel cuore delle Beatitudini
abbiamo tracciato la strada del Nuovo anno Liturgico.
Nella mattina ognuno di noi ha fatto la sua Testimonianza
di questo anno Giubilare
raccontando la ricca esperienza delle Giornate della Misericordia!!!


E con Enzo Bianchi abbiamo compreso il cuore delle Beatitudini...
Secondo Matteo, Gesù decide allora di consegnare a queste persone le promesse di Dio, che possono essere anche un programma per chi vuole seguirlo. Sale sul monte, il luogo delle rivelazioni di Dio e, quale nuovo Mosè, ultimo e definitivo (dopo il quale non ce ne saranno altri!), dà la buona notizia, il Vangelo. Attenzione: non dà “una nuova Legge” – definizione ambigua e sviante – ma dà una parola di Dio che risuona in modo nuovo e crea il regno dello Spirito santo, non più della Legge. Ecco allora il grido: “‘Ashrè”, parola che in ebraico significa soprattutto un invito ad andare avanti, promessa che è certa e precede quanti vivono una determinata situazione, parola che indica uno stile da assumere, parola che cambia l’ottica con la quale si guardano la vita, la realtà, gli altri.
Noi traduciamo quest’espressione tante volte presente nei Salmi e nella sapienza di Israele con “beati” (dal greco makárioi, che i vangeli prendono dalla versione dei LXX), ma purtroppo non abbiamo un termine italiano che ne sveli adeguatamente il contenuto. “Beati” non è un aggettivo, è un invito alla felicità, alla pienezza di vita, alla consapevolezza di una gioia che niente e nessuno può rapire né spegnere (cf. Gv 16,23). “Beati” ha anche il valore di “benedetti” (cf. Mt 25,34), in opposizione ai “guai” (cf. Mt 23,13-32; Lc 6,24-26), ma indica qualcosa che non è soltanto un’azione di Dio che rende giusti e salvati nel giorno del giudizio (cf. Sal 1,1; 41,2), ma che già da ora dà un senso, una speranza consapevole e gioiosa a chi è destinatario di tale parola. Promessa e programma! Nessuno dunque pensi alla beatitudine come a una gioia esente da prove e sofferenze, a uno “stare bene” mondano. No, la si deve comprendere come la possibilità di sperimentare che ciò che si è e si vive ha senso, fornisce una “convinzione”, dà una ragione per cui vale la pena vivere. E certo questa felicità la si misura alla fine del percorso, della sequela, perché durante il cammino è presente, ma a volte può essere contraddetta dalle prove, dalle sofferenze, dalla passione.
Essere “poveri nello spirito”, nel cuore – precisa Matteo –, non semplicemente “poveri” (Lc 6,20), ma esserlo nell’umiltà di chi sa attendere Dio e la sua giustizia (cf. Mt 6,33) può aprire alla beatitudine di chi riceve in dono il regno di Dio.
Essere piangenti è una condizione frequente: le lacrime scorrono sul viso come un’invocazione, un grido a volte muto, ma il Signore raccoglie le lacrime (cf. Sal 56,9), non le dimentica. Ed ecco, manda già ora il Consolatore (cf. Gv 15,26; 16,7) a consolare, affinché ci aiuti ad attraversare la sofferenza e poi alla fine ci doni la gioia eterna, quando Dio asciugherà lacrime da ogni volto (cf. Is 25,8; Ap 7,17; 21,4).
Essere miti tra gli uomini e le donne, miti su questa terra, senza abitarla con prepotenza né violenza, senza riconoscere solo se stessi, rinunciando a ogni volontà di aggressione, fosse anche per difesa, è non solo possedere la terra promessa da Dio, ma già oggi pregustare una risposta amorosa da parte dell’umanità. San Francesco e papa Giovanni con la loro mitezza hanno “posseduto la terra”, nel senso più vero, evangelico, senza attraversare i sentieri del potere e della ricchezza.
Chi ha fame e sete di giustizia, cioè non è mosso dalla legge del vivere nella forza senza riconoscere l’altro, ma è vittima dei fratelli e delle sorelle che non si accorgono di lui, non desista da questa fame e combatta affinché Dio gli dia ora un cibo che lo sostiene e poi nel Regno quella giustizia della quale tanto ha avuto fame e sete.
Chi fa misericordia agli altri “obbligherà” Dio a fargli misericordia, perché Dio – dicevano i padri del deserto – obbedisce ai misericordiosi che sono come lui (cf. Lc 6,36), hanno lo stesso cuore, sono cioè santi come lui è santo (cf. Lv 19,2; 1Pt 1,16).
Essere puri di cuore significa vedere tutte le persone e gli eventi con gli occhi di Dio, vederli con “gli occhi del cuore” (Ef 1,18). Allora la gioia è quella di essere trasparenti, di non dover impiegare il tempo a organizzare la “maschera” con la quale desideriamo apparire agli altri ed essere da loro conosciuti. È la gioia di capire che l’altro è altro, è un dono di Dio, è un fratello o una sorella, e che io accetto di non mettere le mani su di lui o su di lei, di non possederli, sfruttarli, strumentalizzarli.
Un uomo, una donna che sa “fare pace” in ogni situazione di conflitto, da quelle tra i fratelli e le sorelle a quelle tra i popoli, siccome compie ciò che Dio vorrebbe fosse fatto, mostra di essere già qui sulla terra figlio, figlia di Dio, cioè partecipe della sua natura (cf. 2Pt 1,4), e lo sarà definitivamente nel regno dei cieli.
Infine, per tutti i discepoli la beatitudine riguarda il loro stare nel mondo tra le ostilità e le persecuzioni. Se un discepolo di Gesù riceve solo approvazione, applauso, abbia timore e si interroghi se è veramente tale! Almeno l’ostilità, la calunnia, l’opposizione deve conoscerla. Ha detto Gesù: “Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi!” (Lc 6,26). Cercare questo consenso è una delle peggiori tentazioni nella chiesa: compiacere tutti per essere da tutti approvati; sedurre gli altri per ricevere il plauso e avere successo; mancare di parrhesía cristiana (che sembra essere scambiata, all’interno della propria comunità o della chiesa, con la libertà di mormorare!) per essere da tutti apprezzati. Che miseria! Certo, in tal modo si sarà apprezzati e si avrà successo, ma non si conoscerà dentro di sé la gioia più vera, la beatitudine di essere in piena comunione con Gesù Cristo. Per rallegrarsi in profondità occorre invece non guardare ai propri interessi né mettere in atto alcuna strategia, ma “tenere fisso lo sguardo su Gesù” (cf. Eb 12,2) e solo da lui accettare la ricompensa, che consiste nel poter condividere il suo amore.

 



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